IL MECCANISMO DEI TTITOLI PER L’EFFICIENZA ENERGETICA
L’autore, energy manager di Hera, fa il punto per noi sulla situazione di grave crisi in cui versa il meccanismo dei certificati bianchi principalmente a causa dei vincoli di accesso eccessivamente restrittivi introdotti con il decreto del 2017, mai veramente corretti. Sarebbe molto grave lasciar fallire un sistema, inventato in Italia, che per molti anni ha dato i migliori risultati di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni climalteranti in rapporto all’entità dell’incentivo riconosciuto. Ma per farlo ripartire, bisogna crederci.
Introduzione
In questo ultimo periodo il meccanismo dei Certificati Bianchi è ritornato sotto i riflettori a causa del risveglio della febbre dei prezzi dei TEE nel mercato regolamentato. Questo incremento si verifica dopo molti mesi di relativa stabilità, garantita per un lungo periodo dalle misure introdotte con il decreto 10 maggio 2018. Queste misure però non sembrano più in grado di compensare le incertezze causate dall’incomprensibile ritardo dell’uscita del nuovo decreto, la cui pubblicazione era stata preannunciata per la fine del 2020, e sul quale gli operatori contano per rilanciare il meccanismo nel contesto di una cornice regolatoria dotata di strumenti strutturati, in grado di dare maggior stabilità al sistema.
Ma perché è essenziale recuperare un funzionamento efficiente del meccanismo dei CB? Innanzitutto perché, ad oggi, l’esperienza ha dimostrato che non esistono in Europa strumenti alternativi di sostegno all’efficienza energetica che abbiano mostrato maggiore efficacia nel penetrare il settore industriale, storicamente molto difficile da intaccare per la grande varietà di tipologie impiantistiche. Tale settore, tuttavia, presenta un potenziale ancora solo parzialmente esplorato. La seconda ragione per recuperare l’efficienza del meccanismo risiede nel fatto che, con poche e mirate modifiche al sistema, è possibile ritornare a un funzionamento in grado di dare messaggi di prezzo “corretti” ed efficienti, purchè si riesca:
Il sistema può dunque essere conservato, oltre che rilanciato, ma tutto rischia di risultare inutile se il nuovo decreto non sarà emanato in tempo utile.
Oltre a nuove regole serve un nuovo approccio nella valutazione dei progetti
Nel corso di vari incontri pubblici sul tema dei Certificati Bianchi, il Ministero per lo Sviluppo Economico ha anticipato importanti novità che dovrebbero vedere la luce con il nuovo decreto, molte delle quali recepiscono le richieste pervenute da più parti dagli operatori del settore. Si confida che realmente il sistema riesca a recuperare lo spirito originale del meccanismo dotandosi, al contempo, di sistemi di bilanciamento offerta/domanda strutturati, che consentano interventi rapidi ed anticipati rispetto all’apertura degli anni d’obbligo, in modo da scongiurare destabilizzazioni del sistema.
Tra le misure annunciate, risulta di cruciale importanza, inoltre, la conferma della cumulabilità dei Certificati Bianchi con il credito di imposta (quest’ultimo, con la legge di bilancio 2020 ha sostituito l'iperammortamento previsto per l'acquisto di macchinari ed apparecchiature nell'industria). Infatti, la forte sovrapposizione tra le tecnologie incentivate dalle due policy, in caso di divieto di cumulo, potrebbe rendere vane tutte le altre misure espansive e di rilancio introdotte per ridare liquidità alla borsa GME. La conferma della cumulabilità, secondo gli operatori, è ragionevole in quanto il credito di imposta, come l’iperammortamento, rientra tra i meccanismi di modulazione della fiscalità, storicamente considerata compatibile con i Tee nell'ambito del perimetro delle applicazioni industriali.
Tutto questo potrebbe però risultare vano se il nuovo decreto non sarà in grado di liberare il meccanismo dalla rigidità degli indirizzi introdotti con il decreto 11 gennaio 2017, che purtroppo non è stata completamente superata con il decreto correttivo del 10 maggio 2018. Anche nelle ultime guide per gli operatori, infatti, nonostante si avverta un deciso cambio di passo impresso dall’attuale governance del GSE, – i cui margini di manovra restano limitati dalla normativa primaria - permane ancora la logica di fondo di non riconoscere interamente il risparmio energetico della situazione post intervento, rispetto alla situazione pre-intervento. L’adozione di fattori correttivi tutti finalizzati alla decurtazione di parte del saving ottenuto, finisce per privilegiare solo la valorizzazione dell’incremento del rendimento ricondotto alle condizioni nominali, impedendo ad esempio di valorizzare pienamente l’efficienza energetica dovuta alla miglior capacità di modulazione delle nuove apparecchiature.
Altro punto critico da superare, riguarda un’interpretazione rigidissima, e distorsiva, anche rispetto allo spirito della direttiva EED, dell’ammissibilità dei progetti se presentati dopo la data di avvio della realizzazione degli stessi. Tale interpretazione non permette la presentazione di un progetto anche solo a fronte di lavori edili di predisposizione del sito collegati all’intervento tecnologico. Non risulta comprensibile perché queste rigidità riguardino solo il meccanismo dei certificati bianchi quando, ad esempio, per la cogenerazione - che utilizza sempre i TEE - è possibile presentare la richiesta di incentivi attraverso il decreto CAR anche dopo mesi, e fin oltre a un anno rispetto alla fine dei lavori. Ancora, pensiamo al caso delle detrazioni fiscali relative all’installazione di una caldaia a condensazione, dove è possibile inviare la richiesta di accesso all’incentivazione a fine lavori.
Un’altra rigidità, che impedisce la valorizzazione con i TEE dei progetti di efficienza energetica, riguarda la richiesta di misure ante intervento per almeno dodici mesi e dettaglio giornaliero sia per i vettori energetici consumati che per le variabili operative; richiesta che può essere derogata solo in pochissimi casi. La ricerca di una estrema precisione nella determinazione dei risparmi è unica nel meccanismo dei TEE (rispetto a CAR, detrazioni, conto termico) e complica troppo la procedura, allungandola talmente tanto da renderla non percorribile per piccoli interventi e per imprese che prendono le decisioni con orizzonti temporali minori.
Questa impostazione, figlia appunto della filosofia del decreto del 2017, è proprio quella che ha fatto allontanare il meccanismo dal suo spirito originario basato sul risultato effettivo conseguito. Il meccanismo dei TEE era già fin dall’origine il sistema di incentivazione dell’efficienza energetica forse più rigoroso tra le policy esistenti e, purtroppo, l’introduzione di tutte le rigidità procedurali introdotte successivamente è servita unicamente a minare in modo quasi irrecuperabile la fiducia degli operatori.
L’errore di sottovalutare il potenziale di Efficienza Energetica dall’industria
Gli ultimi cinque anni sono stati caratterizzati da dichiarazioni da parte delle istituzioni, certamente sincere, di voler non solo conservare, ma anche rilanciare il meccanismo dei certificati bianchi quale strumento principale per la promozione dell’efficienza energetica nel settore industriale. Sta di fatto però che le azioni concrete, fino ad ora, sono andate spesso nella direzione opposta. Ad esempio, nel Piano Clima Energia italiano emerge l’indirizzo di potenziare incentivi all'Efficienza Energetica nei settori civile, PA e trasporti, con costi altissimi per la collettività, e con un forte depotenziamento degli strumenti di sostegno all’industria. Questo, in parte, è inevitabile in quanto, parlando di residenziale e trasporti, ci riferiamo a settori molto "resistenti" alle politiche incentivanti. Risulta tuttavia di più difficile comprensione l'utilità di indebolire gli strumenti di sostegno nell'industria, risultati storicamente molto più efficienti nel rapporto costo/efficacia per la collettività. C'è chi sostiene che questo settore sia vicino alla saturazione in merito all’efficientamento energetico ottenibile sui processi, anche se risulta curioso parlare di saturazione quando il percorso tracciato va verso la completa decarbonizzazione.
In particolare, se guardiamo il trend storico (vedi figura 4), l’andamento dell’efficienza energetica generata dal meccanismo dei TEE (colonne grigie) è legato a puntuali momenti coincidenti con specifiche modifiche delle regole di accesso al sistema e non ad un trend di saturazione graduale del potenziale di generazione di nuova efficienza energetica che, viceversa, avrebbe un graduale e costante andamento discendente. Ma è il grafico di figura 1, ricavato dal rapporto IEA 2020 sull’efficienza energetica, che mette ben in evidenza come vi sia la necessità di rafforzare, e non certo indebolire, politiche in grado di generare nuova efficienza energetica, visto che il contributo atteso dalla stessa nel percorso globale di decarbonizzazione è dell’ordine del 40%. Pertanto, non è certo puntando sulle sole politiche di sostegno all’edilizia, pur necessarie, che è possibile raggiungere un traguardo di questa imponenza.
La situazione appare ancora più anacronistica se confrontiamo, a livello di emissioni globali di CO2 equivalenti, il contributo dei vari ambiti. Nel suo ultimo libro “How to Avoid a Climate Disaster”, Bill Gates mette in evidenza come nessuna politica di decarbonizzazione potrà mai essere credibile se non prevede misure concrete per la decarbonizzazione dei siti industriali energy intensive, alla luce del loro peso al contributo di emissioni globali. Gates mette a confronto la percentuale - riferita alle emissioni di CO2 equivalente - dei gas serra associati a tutte le attività umane - imputabili per:
Figura 1: riduzione emissioni di CO2 nello scenario di decarbonizzazione - IEA Energy Efficiency Outlook 2020
Per comprendere la gravità degli effetti involutivi innescati dal decreto 11 gennaio 2017 che, nella sostanza, hanno introdotto misure di irrigidimento delle regole di accesso al sistema, basta analizzare con attenzione i dati riportati nell’ultimo rapporto GSE. Partendo dal grafico di figura 2 che mostra il numero totale di titoli emessi dal 2006, anno di attivazione a regime del meccanismo, (colonne rosse) ed il quantitativo di efficienza energetica globale generato (colonne grigie) pari a 28 Ml di TEP, appare subito evidente la grande efficacia del meccanismo dei TEE italiano. Va ricordato che la misura, ancora oggi, detiene un primato unico in Europa per quantità di efficienza energetica generata da un’unica policy. Va peraltro evidenziato che l’efficienza energetica è stata conseguita in un comparto, come quello industriale, difficilissimo da penetrare a causa delle centinaia di tecnologie che lo caratterizzano e, dunque, impossibile da standardizzare con metodologia diverse dalle misure a consuntivo. La tabella è una conferma di come il nostro Paese, con questo meccanismo originale, sia stato capace di essere protagonista in Europa sulle misure per l’efficienza energetica, arrivando a coprire negli scorsi anni, solo attraverso il meccanismo dei TEE, circa il 60% degli obblighi nazionali.
Ulteriore risalto a questo risultato è fornito dal dato in figura 3 che rappresenta la percentuale di efficienza energetica media, segnalata dagli Stati dell’UE, ottenuta dal settore industriale, pari all’ 8%. Va sottolineato che, nell’analisi condotta dal Cesef sulle policy di incentivazione relative all’efficienza energetica in Europa, emerge come in generale gli Stati membri utilizzino molteplici misure di sostegno volutamente orientate a settori differenti dall’industria, proprio per il fatto che gli strumenti utilizzati sono basati maggiormente su metodologie standardizzate di quantificazione dei risparmi. Ribadiamo tuttavia che simili metodologie non sono adatte a settori caratterizzati da molteplici soluzioni tecnologiche impossibili da raggruppare con poche tipologie di interventi in schede ripetibili. Lo studio rivela come si tratti di una scelta consapevole, espressione di una resa di fronte al settore industriale, proprio perché difficile da penetrare se non con programmi di misura a consuntivo. Al contrario il sistema Italia è stato in grado di fornire una risposta efficace nell’ultimo decennio con il meccanismo dei Certificati Bianchi.
Figura 2: valore cumulato Certificati Bianchi emessi e risparmio energetico conseguito dalla nascita del meccanismo - Rapporto GSE 2020
Figura 3: suddivisione risparmi notificati per settore dagli Stati membri - Elaborazione Agici/Cesef su dati del Parlamento europeo, 2016
Osservando ora il grafico di figura 4 (estratto sempre dal rapporto GSE), che disaggrega i volumi di titoli emessi e di risparmio energetico per singolo anno, si nota una crescita costante dell’efficienza energetica conseguita dal sistema fino al 2011, a cui segue una decisa discesa a partire dal 2012, facilmente spiegabile dalla legislazione intervenuta in quell’anno che fece cessare la possibilità di presentare progetti già realizzati (questa opzione era stata concessa fino a quel momento con la finalità di mettere in moto il sistema generando sul mercato regolamentato un volume di titoli sufficiente a lanciare e dare stabilità alla nuova policy). La generazione di nuova efficienza energetica (sempre colonne grigie) raggiunge poi una relativa stabilizzazione attorno ad un dignitoso quantitativo vicino a 2 Ml TEP/anno negli anni 2015, 2016 e 2017, per poi cominciare una discesa repentina (ancora in atto) a partire dal 2018, anno che coincide con l’attivazione delle misure previste dal decreto 11 gennaio 2017. L’andamento dei volumi di titoli generati (colonne rosse), segue viceversa dinamiche differenti, legate principalmente, prima all’introduzione del fattore moltiplicativo Tau, e poi alla sua eliminazione.
Figura 4: volumi annuale di Certificati Bianchi riconosciuti, e del risparmio energetico conseguito, dalla nascita del meccanismo -Rapporto GSE 2020
Escludendo dunque il periodo fino al 2011, dove sussiste l’effetto cumulativo dato da progetti realizzati a partire dal 2004, se fosse vero che il calo dell’EE dall'industria fosse dovuto alla saturazione del potenziale ottenibile dal settore (registrato a partire dal 2018), questa riduzione apparirebbe graduale già dagli anni precedenti, e non repentina in corrispondenza proprio di quell’anno. Sempre dallo studio Cesef emerge come il settore industriale possieda, ancora oggi, un potenziale di EE tra 3 ai 5 Ml di TEP/a, rispetto ad un’attesa del PNIEC inferiore ad 1 Ml di TEP, ottenibile a costi 4-6 volte inferiori rispetto ad altri settori. È necessario precisare che i circa 600.000 TEP di efficienza energetica generati nel 2020 riportati in tabella 4 sono la somma sia dei nuovi risparmi relativi a nuovi progetti presentati nel 2019, sia delle rendicontazioni di progetti vecchi ancora in corso di rendicontazione in quanto non hanno ancora esaurito la vita utile.
Figura 5: Confronto tra TEE sottesi alle pratiche presentate dagli operatori e TEE emessi – Periodo 2017/2020 – Elaborazione Hera su dati ricavati dai rapporti annuali GSE 2017, 2018, 2019 e 2020
Per rendere ancora più evidenti gli effetti indotti dal decreto 11 gennaio 2017 è indubbiamente efficace mettere a confronto i dati contenuti nel rapporto GSE negli ultimi 4 anni. La tabella 5 riporta per singolo anno i TEE potenziali sottostanti a tutte le pratiche presentate dagli operatori ai sensi del decreto del 2017, cioè tutti i progetti a consuntivo (PC), i progetti standard (PS), le rendicontazioni a consuntivo (RC), e le rendicontazioni standard (RS). Ebbene, dopo 4 anni di applicazione delle nuove regole di accesso al meccanismo, risulta come gli operatori abbiano presentato pratiche alle quali erano sottesi potenziali risparmi per un totale di 677.199 TEE; potenziale che si è però concretizzato, almeno per il momento, in soli 9.559 TEE effettivamente emessi.
Questo conferma in modo ancora più evidente la correlazione tra l’entrata in vigore delle nuove regole, con la repentina discesa di nuova efficienza energetica generata dopo il 2017 di figura 4. Nel mezzo dell’enorme divario tra questi due numeri (677.199 e 9559), si colloca tutto quello che può succedere tra la presentazione di un progetto da parte di un operatore, e le reali probabilità che questo progetto si traduca in effettiva rendicontazione, ed il tutto nel contesto di un arco temporale tra presentazione della pratica ed emissione sull’ordine dei 2-3 anni.
Bisogna comunque riconoscere l’importanza delle misure introdotte dal MiSE, in emergenza, con il decreto 10 maggio 2018, che hanno permesso una stabilizzazione del sistema fino alla fine del 2020, senza le quali il sistema si sarebbe destabilizzato, schiacciato da una carenza cronica di liquidità. Al riguardo va però evidenziato che si trattava di misure provvisorie dal carattere emergenziale, volutamente emanate per traguardare il meccanismo verso la fine del periodo regolatorio, in attesa del decreto relativo al nuovo quadriennio. Ed è proprio il ritardo nella messa a terra delle nuove regole necessarie per dare maggiore stabilità al sistema, che è alla base del rialzo della febbre dei prezzi dei TEE sul mercato regolamentato.
Un sistema parallelo ad aste può essere utile solo se rafforza il mercato regolamentato
Un altro importante annuncio del contenuto del nuovo decreto riguarda l’introduzione di un meccanismo basato sulle aste per tecnologie caratterizzate da costi molto distanti rispetto ai segnali di prezzo espressi dalla borsa regolamentata. Detto strumento, ampiamente utilizzato in tutta Europa per le fonti rinnovabili, non pare potersi prestare facilmente a incentivare l’efficienza energetica negli stabilimenti industriali caratterizzati da centinaia di soluzioni tecnologiche differenti, e dove la durata di un intervento nel tempo non può mai essere certa. Tuttavia, se si vuole percorrere in via sperimentale questa strada, riteniamo sia necessario – a valle della pubblicazione del nuovo decreto - attivare da subito un tavolo di confronto con gli operatori, con la finalità di disegnare uno schema di funzionamento in grado di rafforzare i volumi della borsa. Ad esempio, attraverso l’implementazione di un meccanismo che preveda che l’efficienza energetica generata dalle aste sia reimmessa all’interno della borsa, contribuendo così al ripristino della sua liquidità. In questo modo i due sistemi (aste e borsa), opererebbero in modo sinergico, e non antagonistico, permettendo effettivamente di cogliere anche alcuni oggettivi vantaggi delle aste, come quello della stabilizzazione di prezzi.
Si evidenzia peraltro che esistono nel contesto internazionale altri meccanismi che vedono operare in modo sinergico le aste con una borsa regolamentata. Se viceversa venisse introdotto un sistema separato e alternativo, la cui efficienza energetica aggiuntiva non contribuisse ad implementare i volumi di scambio in borsa ma addirittura concorresse alla sua sottrazione, allora si correrebbe veramente il rischio di dare al meccanismo dei TEE il colpo di grazia creando, nel migliore dei casi, due sistemi con volumi generati di EE bassi e, nel peggiore, al fallimento di entrambi. Inoltre, un sistema ad aste ben congegnato, potrebbe essere un ottimo strumento anche per aiutare ad allargare la base delle tecnologie ammissibili, estendendo il perimetro di inclusione a nuovi comparti ancora inesplorati: come, ad esempio, applicazioni di soluzioni legate all’economia circolare in grado di generare un risparmio energetico lungo la filiera. Oppure l’introduzione di tecnologie dell’idrogeno, come l’installazione di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde da utilizzare, in miscela con il gas metano, per la produzione di energia termica da fonte rinnovabile. Si evidenzia che una simile opzione è stata recentemente reintrodotta al meccanismo dei TEE dall’art. 48 del decreto legge n.34/2019, convertito dalla legge 28 giugno 2019 n.58 – e ben si presta nei processi energy intensive resistenti alla decarbonizzazione. Queste applicazioni tecnologiche, come si sa, attualmente sono ostacolate da costi molto alti sia di Capex che di Opex, e proprio grazie alla possibilità di strutturare un’asta dedicata, in grado di introdurre un adeguato fattore moltiplicativo alla remunerazione di borsa del Titolo di Efficienza Energetica, potrebbero trovare applicazione grazie all’introduzione nel sistema di quel grado di flessibilità che attualmente manca.
I ritardi nell’uscita del nuovo decreto rischiano di essere fatali
In ogni caso, se non si interverrà con urgenza con qualche provvedimento, il sistema rischia di crollare sotto il peso della destabilizzazione dei prezzi già in vista della chiusura dell’anno d’obbligo 2020 prevista per il mese di maggio. Anche il rapporto GSE 2020 mostra in modo drammatico la scarsità di titoli disponibili per gli operatori per l’assolvimento dei loro obblighi. La tabella di figura 6, ricavata dal rapporto GSE 2020, evidenzia una diponibilità totale di TEE sottostanti alle rendicontazioni dei progetti attivi, compresi i TEE CAR ai sensi del DM 5 settembre 2011 e quelli rendicontati ancora come coda ai progetti presentati ai sensi del DM 28 dicembre 2012, pari a 1.379.000, potenzialmente disponibili per l’anno d’obbligo 2020. A fronte di questa disponibilità, i soggetti obbligati si trovano con un obbligo relativo all’anno in scadenza 2020 di 7.090.000 TEE, e con un obbligo totale da assolvere, tenendo conto anche del residuo pregresso, di 10.195.000 TEE (obbligo anno 2020 + obbligo residuo 2018 e 2029).
Figura 6: Totale titoli potenzialmente disponibili per gli operatori per l'assolvimento dell'anno d'obbligo 2020 – Rapporto GSE 2020
La sproporzione è talmente macroscopica da non richiedere commenti, e anche la valvola di sicurezza dei titoli virtuali (introdotta con il decreto 10 maggio 2018), rischia di non funzionare in quanto la disponibilità di titoli fisici necessari per l’accesso ai virtuali non è sufficiente per tutti gli operatori. I soggetti obbligati sono infatti costretti a comprare i titoli che mancano per accedere alla valvola di sicurezza dei virtuali (scalino soglia del 30% di titoli fisici), a prezzi altissimi e crescenti proprio a causa di un mercato asfittico, accettando giocoforza gravi perdite economiche rispetto al valore rimborsato, bloccato come si sa a 250 euro/TEE; pena il rischio di incorrere nelle sanzioni previste dal DM attualmente in vigore. Si evidenzia che ciò avviene indipendentemente dalla diligenza con la quale i soggetti obbligati hanno programmato le campagne di acquisto nel corso dell’anno d’obbligo. Il grafico di figura 7 evidenzia molto chiaramente questo trend: si può vedere infatti come il prezzo medio di mercato sia rimasto sostanzialmente stabile attorno ad un valore di 260 Euro/TEE dal giugno del 2019 fino a gennaio 2021, per poi passare in poco più di un mese a oltre 280 euro/TEE, e questo a causa delle incertezze indotte dal progressivo slittamento della data annunciata di pubblicazione del nuovo decreto, previsto per la fine del 2020, e del progressivo avvicinarsi della chiusura dell’anno d’obbligo prevista per il mese di maggio.
Figura 7: Prezzo TEE sessioni di mercato anni d'obbligo 2019-2020
In conclusione, ci preme sottolineare ancora una volta l’estrema urgenza dell’uscita delle nuove misure contenute nel decreto sui TEE, confidando che siano sufficientemente energiche e chiare da permettere una vera e propria svolta verso una prospettiva di approccio ai progetti più aperta ed espansiva, che riporti al centro il premio dell’efficienza energetica effettivamente conseguita, e non la preselezione delle tecnologie. Che qualcosa non funzioni nei criteri di approvazione dei progetti presentati - vincolati come sono della normativa primaria - lo possiamo desumere anche dai valori di sintesi della figura 6 (Rapporto GSE 2020) che evidenzia in soli 21.000 TEE il totale di titoli potenzialmente disponibili alla chiusura dell’obbligo 2020 (prevista nel il mese di maggio) e sottostanti alle pratiche presentate ai sensi del DM 11 gennaio 2017. È importante notare che non si tratta di schede standard, ormai non più ammesse e per le quali si erano effettivamente registrati in passato problemi non indifferenti di irregolarità, ma di progetti a consuntivo con dettagliati programmi di misura dei risultati.
Ci si chiede: è possibile che questo fenomeno sia imputabile all’inadeguatezza dei programmi di misura proposti? E’ molto inverosimile, visto che ormai gli operatori rimasti sono tutte Esco strutturate e legate a grandi gruppi, la cui professionalità non è in discussione. Il problema è sempre quello descritto in apertura: il decreto del 2017 ha determinato – forse con l’intenzione del legislatore di correggere alcune distorsioni presenti nella regolamentazione originale - una sterzata in corsa dei criteri di approvazione, spostandoli da criteri premianti sull’efficienza energetica conseguita, a criteri preselettivi delle tecnologie e sull’innovazione tecnologica, snaturando così lo stesso spirito originale del meccanismo ed innescando quell’andamento discendente, a partire dal 2018, che è appunto l’anno di attivazione delle nuovi criteri di accesso introdotti.
Serve dunque un deciso cambio di passo e molte delle misure annunciate avrebbero realmente il potenziale, se opportunamente integrate, di aiutare il sistema a risollevarsi. I recenti sforzi del Mise e del GSE, che vanno riconosciuti per aver recepito molte delle proposte degli operatori, rischiano tuttavia di esser inutili se il nuovo decreto continuerà a ritardare, proprio perché, nel frattempo, il sistema potrebbe fallire schiacciato dalla destabilizzazione dei prezzi di un mercato fuori controllo. In sostanza, rischiamo di gettare il bambino con l’acqua sporca e questo è esattamente ciò che tutti assieme (istituzioni e operatori) ci eravamo ripromessi di evitare a ogni costo, proprio per non disperdere un patrimonio di innovazione e di efficacia sviluppato in oltre 15 anni di lavoro sinergico di tutta la filiera dell’efficienza energetica, come forse non era mai accaduto nel contesto di nessun’altra policy incentivante.
* Energy Manager Hera S.p.A
Bibliografia essenziale