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2024-03-28 19:27

L’Impronta dell’Acqua

COSTI SOCIALI E AMBIENTALI DELLE RINNOVABILI (6)

di: 
Giovanni Brussato

Dalla Rete di Resistenza dei Crinali riprendiamo un nuovo articolo sulle problematiche legate all’estrazione dei minerali necessari alle tecnologie per l’utilizzo delle nuove fonti rinnovabili elettriche. Questa volta l’autore considera l’impatto ambientale più importante dell’industria estrattiva: il consumo di acqua dolce.

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Motore del Green Deal, l’industria estrattiva ha assunto la missione di approvvigionare i minerali che costituiranno gli ingredienti fondamentali delle tecnologie verdi. La World Bank stima che sarà necessario estrarre oltre 3,5 miliardi di tonnellate di questi minerali per raggiungere gli scenari più ambiziosi previsti dall'IEA. Nel 2019, ne sono state estratti, a livello globale, poco più di 35 milioni di tonnellate, pertanto vi saranno minerali come il litio, il cobalto e la grafite che vedranno la loro produzione aumentare di oltre 500 volte rispetto all’attuale. Ci sono minerali, come il rame che, nei prossimi 25 anni, verranno estratti nella stessa quantità dei 5000 anni appena trascorsi.

L’estrazione dei minerali comporta un grande utilizzo di acqua dolce.

Abbiamo cercato di analizzare e stimare numericamente la water footprint, WF, l’impronta idrica, indicatore della quantità di acqua dolce utilizzata per produrre beni o servizi, del processo estrattivo di alcuni metalli necessari alla costruzione delle tecnologie verdi.

Abbiamo preso come base i dati forniti dalla Commissione Europea (Joint Research Centre, JRC) in uno studio pubblicato qualche settimana fa: Raw materials demand for wind and solar PV technologies in the transition towards a decarbonised energy system”. Lo studio mira a fornire un supporto scientifico basato su evidenze tecniche al processo decisionale europeo per assicurare la transizione all'energia verde.

La WF può riguardare un singolo processo produttivo, un prodotto, o anche la quantità totale di risorse idriche usate in un’azienda durante tutte le fasi della produzione. In base al processo o prodotto a cui si riferisce, l’impronta idrica è generalmente espressa in litri o metri cubi. Oltre ad aiutarci a comprendere per quali scopi le risorse d’acqua dolce vengono consumate, è un valido strumento per valutare gli impatti ambientali causati da queste attività analizzando sia l’uso diretto di acqua, ma anche quello indiretto, ovvero la quantità di risorse idriche complessivamente utilizzate lungo tutta la catena produttiva.

 

L'energia eolica e l'approvvigionamento dei minerali

Le moderne turbine eoliche possono essere divise in due categorie: trasmissione diretta o cambio. I due tipi hanno costruzioni significativamente diverse, che differiscono nella progettazione del generatore, nel sistema di trasmissione e, di conseguenza, differiscono notevolmente sia la massa che i materiali con cui sono costruite. Quelle dotate di un cambio ad ingranaggi sono le più diffuse e hanno raggiunto un costo competitivo con un alto livello di affidabilità, sebbene generalmente richiedano una manutenzione frequente a causa del maggior numero di parti meccaniche in movimento rispetto a quelle a trasmissione diretta e presentino un peso superiore del generatore dovuto all'uso di materiali convenzionali come ferro e rame.

Le turbine eoliche a trasmissione diretta dispongono di generatori collegati direttamente al rotore. Alcuni modelli, come quelli prodotti da Goldwind, impiegano un generatore con magneti permanenti al neodimio-ferro-boro. Altri, come quelli di Enercon, utilizzano un rotore eccitato elettricamente costruito utilizzando maggiormente il rame. Tendono ad avere un costo per megawatt superiore che però viene compensato da una manutenzione significativamente inferiore durante il suo esercizio. Questo le fa preferire nelle installazioni offshore, dove la manutenzione è molto più impegnativa, mentre quelle ad ingranaggi sono più richieste nelle installazioni onshore dove gli interventi sono relativamente semplici.

La differenza tra queste tecnologie ha delle evidenti implicazioni sulla domanda di minerali.

Utilizzando l'intensità del materiale, cioè la massa specifica di ciascun materiale grezzo o composito per unità di capacità installata, nel nostro caso espressa in t/GW, saremo in grado di stimare la quantità di materie prime necessarie. Introdurremo successivamente per alcuni materiali, REE, rame ed acciaio, i valori della loro Water Footprint e saremo quindi in grado di avere una stima dimensionale dell’impronta idrica lasciata dalla sola energia eolica.

La capacità installata onshore, come si può desumere dai diagrammi riportati sotto, dovrebbe crescere di 8 volte nello scenario più ambizioso, denominato HDS, High Demand Scenario, ovvero lo “Zero Carbon Scenario” che considera una decarbonizzazione quasi completa entro 2050, sulla base di quanto previsto dal Green Deal Europeo.

In base ad esso, per i sistemi eolici offshore, gli impegni per una maggiore capacità sono ancora più ambiziosi: dagli attuali 18,5 GW viene richiesto un aumento di oltre 20 volte, fino a circa 450 GW. Pertanto, a livello europeo, sarà necessario installare onshore circa 1400 GW ed offshore 420 GW per complessivi 1820 GW mentre, a livello globale, 5800 GW onshore più 1100 GW offshore portano il totale a circa 6900 GW.

 

Scenari sulla capacità eolica a livello europeo (EU) e globale (World) per installazioni Onshore ed Offshore

Source: JRC representation based on the IRENA database (IRENA, ‘Statistics Time Series’) for 2000-2018; and European Commission (2018), Carlsson et al. (2020), IEA (2017) and Teske (2019) for 2019-2050. 

Come primo esempio, consideriamo le terre rare, REE, poiché al centro di scelte tecnologiche legate a motivi geopolitici. Infatti, nonostante i vantaggi tecnici ampiamente accettati dei magneti permanenti nella progettazione di turbine eoliche, i picchi passati nei prezzi globali delle terre rare, spinti dalle restrizioni alle esportazioni cinesi, hanno richiesto ai governi e all'industria eolica di lavorare verso l'adozione di progetti alternativi per aggirare i rischi del monopolio cinese.

Pertanto, alcuni scenari mirano a evitare l'utilizzo di magneti permanenti, almeno nell'ambiente onshore, adottando generatori ad "azionamento ibrido" che impiegano un cambio a stadio singolo con un magnete permanente più piccolo che comporta una riduzione del neodimio da circa 180 kg / MW di capacità installata a soli 60 kg / MW. Il disprosio sarebbe soggetto allo stesso calo proporzionale. D’altra parte le crescenti dimensioni e capacità delle turbine eoliche offshore sembrano prevedere esclusivamente l’uso di magneti permanenti, visti i loro vantaggi legati al minor peso e manutenzione.

Naturalmente, la limitazione dell'uso dei magneti permanenti porta ad escludere le turbine di produzione cinese che, nel complesso, rappresentano una notevole percentuale della produzione globale, come si può dedurre dal grafico sottostante che riporta i primi 10 produttori mondiali e da cui è possibile rilevare come le aziende cinesi hanno ottenuto ben quattro posizioni: oltre alla Goldiwin (3°) compaiono anche Ming Yang, Windey e Shanghai Electric, rispettivamente al sesto, settimo e nono posto.

Dati in Gigawatts. Fonte BloombergNEF

Per calcolare la quantità complessiva di terre rare utilizzate ci basiamo quindi sui grafici sottostanti che ci permettono di dedurre la percentuale della potenza prodotta mediante turbine che utilizzano i magneti permanenti. Pur non condividendo troppo la percentuale, a nostro avviso ottimistica, sul loro uso nello scenario globale offshore che sarebbe inferiore all'80%, adottiamo dei coefficenti prudenziali che portano ad ottenere, a livello europeo complessivamente onshore ed offshore, circa 1350 GW prodotti utilizzando turbine eoliche equipaggiate con magneti permanenti.

 

Quota di mercato dei magneti permanenti nelle tecnologie eoliche

Source: JRC analysis.

I dati disponibili sulla WF delle terre rare (REE) non sono molti per gli evidenti problemi legati alle tensioni geopolitiche ed al clamore internazionale per il pesante inquinamento delle due regioni della Cina interessate dell’estrazione e raffinazione. Uno studio (Rare Earths: Shades of Grey Can China Continue To Fuel Our Global Clean & Smart Future - China Water Risk) dimostra come produrre una tonnellata di REE può generare 60.000 m3 di gas tossici contenenti acido cloridrico, 200 m3 di acque reflue contenenti acidi e 1-1.4 tonnellate di rifiuti radioattivi. Inoltre, i processi di separazione e raffinazione consumano notevoli quantità di acqua dolce.

Sono circa 2.000 m3 gli sterili, il suolo di scarto che deriva principalmente dal processo di "lisciviazione" dovuto al metodo estrattivo che prevede l’iniezione di acidi nel terreno superficiale per produrre una tonnellata di minerali di terre rare. I dati delle analisi effettuate sulle acque circostanti, anche a notevole distanza dai siti estrattivi, registrano livelli medi di azoto ammoniacale ancora superiori di 50 volte rispetto allo standard. Ulteriori indagini hanno riscontrato livelli superiori di oltre 200 - 300 volte rispetto ai valori standard cinesi dell'acqua potabile. L'aspetto comunque più preoccupante è che, anche dopo decenni di precipitazioni ed erosione, il livello dell'azoto ammoniacale risulta ancora 20 volte superiore allo standard. Ciò significa che, attualmente, la tecnologia non garantisce che i siti minerari una volta dismessi smettano di inquinare ancora le acque superficiali.

L'intensità complessiva delle terre rare utilizzate, neodimio, disprosio e praseodimio, è di circa 232 t/GW che, in base alla potenza installata, porta ad un valore approssimato di 313.000 t. Rileviamo comunque che questi dati possono differire in base alle fonti, ad esempio il disprosio, secondo gli scienziati del Massachusetts Institute of Technology, ha un'intensità di circa 30 t/GW, quasi il doppio del valore proposto dalla Commissione Europea.

La WF delle terre rare è estremamente complessa da definire, per quanto visto, e per la limitatezza delle informazioni da parte dell’industria mineraria. Tuttavia la stima più attendibile la quantifica in circa 90 m3 / Kg che porta ad un risultato di circa 28 Km3 di acqua consumata nel processo, come riportato nel grafico sottostante dove, per avere un riferimento visualizzabile di queste grandezze, viene riportato anche il volume del lago di Como che è di 22.5 Km3.

Spesso, per calcolare il volume di acqua necessario alla diluizione del carico di inquinanti, che corrisponde alla componente “grigia” della WF, vengono utilizzati metodi analitici, quindi non misurazioni dirette, ed in aree geografiche limitate ottenendo valori sottostimati perché spesso gli inquinanti vengono trasportati nelle falde anche in zone lontane dal sito estrattivo.

Questo assume maggior valore nello specifico delle REE: esistono studi che dimostrano come l'inquinamento delle acque interessi interi bacini idrografici. Pertanto il dato proposto è da ritenersi fortemente sottostimato.

L’impatto sulla WFgray dell'inquinamento delle acque sotterranee è ancora più complicato da valutare. I dati forniti dalla IEA, su alcune aree del bacino fluviale intorno alla miniera di Zudong in Cina, rilevano come il 100% dei campioni delle acque sotterranee non hanno livelli accettabili per gli indicatori dello standard di grado III, incluso il piombo, cadmio, solfato, solidi totali disciolti, nitrito, ammoniaca e valori del pH.

Consideriamo ora l’acciaio la cui intensità è di 120.000 t/GW che porta ad un totale complessivo del materiale necessario a 218 Mt. La WF è approssimativamente di 2.2 m3 / kg; un risultato visualizzato nell'infografica sottostante dove è stato introdotto, come ulteriore termine di paragone, il volume d'acqua del lago Ladoga, il più grande lago europeo.

Come ultimo esempio, ma non meno significativo, prendiamo il caso del rame. Anche in questo caso, la valutazione dell'intensità  fornita, in questo caso dall'IEA, è sensibilmente diversa da quella proposta, come è possibile vedere nel grafico sotto. Pur essendo fornita sulla base dell'installazione e non su quella della tecnologia utilizzata, nel grafico, risulta un'intensità del rame pari a circa il doppio del valore che utilizziamo per calcolarne la WF pari a circa 5.000 t/GW.

IEA, Minerals used in selected power generation technologies, IEA, Paris
https://www.iea.org/data-and-statistics/charts/minerals-used-in-selected-power-generation-technologies

Il valore della WF può variare in base al processo estrattivo, a cielo aperto o in sotterraneo, ed in base al processo metallurgico legato alla mineralogia del deposito. I minerali di rame possono generalmente essere suddivisi in minerali di solfuro e di ossido. All'interno di depositi di calcopirite e bornite, attualmente i tipi più comuni di depositi di rame, la maggior parte del rame è generalmente presente nei minerali come solfuro, pertanto i processi di raffinazione, successivi all'estrazione, in generale, vengono realizzati mediante tecniche pirometallurgiche mentre, per gli ossidi, tramite idrometallurgia. Tra i due processi, quello idrometallurgico presenta un WF nettamente superiore.

I dati presentati indicano la necessità di una pesante aggressione da parte delle compagnie minerarie a risorse non rinnovabili per approvvigionare i materiali necessari alla realizzazione delle tecnologie verdi: da quanto emerso, la water footprint di solo tre materiali presi in considerazione, per raggiungere gli obbiettivi del Green Deal e limitatamente alla sola produzione di energia eolica, richiederebbe un volume d'acqua pari a circa sei volte il Lago Ladoga.

 

Considerazioni sulla misura della water footprint gray

Uscito qualche giorno fa, il report "Mining and Water: Are operational concerns overriding public interest?" di Responsible Mining Foundation afferma che le compagnie minerarie, in genere, rivelano i dati di monitoraggio della qualità dell'acqua rilasciata nei corpi idrici solo quando vengono obbligati dai regolamenti nazionali. Il Rapporto RMI 2020, che valuta su 38 parametri, economici, sociali e di governance (EESG), le politiche e le pratiche delle compagnie minerarie, dimostra che in media solo il 13% comunica i risultati del monitoraggio della qualità dell'acqua a valle delle loro operazioni - vedi grafico sotto - rispetto a un valore medio del 60% per il monitoraggio dei livelli di consumo di acqua.

Fonte: Responsible Mining Foundation RMI 2020

Sulla base di quanto esposto, è evidente che le operazioni di estrazione mineraria possono avere effetti gravi e duraturi sulla qualità dell'acqua e sulle risorse idriche locali condizionando la loro usabilità e sicurezza per l'agricoltura, le altre industrie, le comunità locali e l'ambiente, a valle dei punti di scarico dei siti minerari. La qualità delle acque è una questione intergenerazionale di rilevanza diretta per la salute socioeconomica e ambientale delle aree coinvolte in attività estrattive e, quindi, gli utenti delle risorse idriche devono poter avere accesso ai dati tempestivamente, con informazioni puntuali, a livello locale, sulla qualità delle risorse idriche a valle delle operazioni di estrazione. Questo non sta accadendo, soprattutto a livello di singolo impianto dove, come visibile nel grafico sotto, quasi l’80% non ha fornito dati nel merito della qualità dell’acqua.

Fonte: Responsible Mining Foundation RMI 2020

Con le attuali tecnologie di depurazione delle acque, le compagnie minerarie possono facilmente controllare la qualità dei loro scarichi nelle risorse idriche e, nella maggior parte dei casi, le aziende stanno già raccogliendo dati di monitoraggio sulla qualità dell'ambiente e sull'acqua di scarico. Ora, perchè queste informazioni non vengano rese pubbliche è facilmente intuibile: una comunicazione precisa e puntuale obbligherebbe le compagnie a mantenere i livelli qualitativi richiesti con gravi perdite economiche. Uno studio del Columbia Water Center e del Columbia Center for Sustainable Investment mostra che questi impatti progressivi possono non essere registrati poiché molti operatori minerari, registrano solo il proprio scarico di inquinanti nei corpi idrici superficiali e sotterranei e non gli impatti a livello di bacino idrografico, ipotizzando che la disponibilità di acqua sia sempre sufficiente per diluire il carico di inquinanti e portarlo al livello di qualità richiesto.

Oltre a occuparsi della qualità delle risorse idriche a valle, la strategia di gestione delle risorse idriche a livello di bacino idrografico di un sito minerario deve coprire più ampi problemi di qualità dell'acqua come la prevenzione dei rischi di inquinamento idrico dovuti alla gestione degli sterili o alle inondazioni di pozzi abbandonati, per evitare il ripetersi dei disastri avvenuti in Brasile nel 2015 e 2019, per citare quelli noti alle cronache, dove gli inquinanti tossici dispersi nei corsi d'acqua e nelle falde hanno compromesso l'approvvigionamento di acqua potabile per centinaia di migliaia di persone e dove viene stimato in centinaia di anni il tempo necessario per lo smaltimento del carico di inquinanti disperso.

 

Un mondo senz’acqua

 Il nostro pianeta è coperto per il 70% dal mare e il 98% dell'acqua del mondo è negli oceani. Quest’acqua è inadatta all’uomo per bere od all'agricoltura per l’irrigazione. La stragrande maggioranza della nostra acqua dolce, cioè l’1,64% di quel 2% rimanente, è allo stato solido e rinchiusa nelle calotte polari e nei ghiacciai.

L’acqua dolce disponibile, lo 0,36% di quella presente nel pianeta, si trova sottoterra nelle falde acquifere e nei pozzi ed in superficie nei laghi e nei fiumi.

L’acqua è una risorsa rinnovabile entro certi limiti. In molte parti del mondo viene utilizzata molta più acqua di quella disponibile su base annuale e rinnovabile. Precipitazioni, scioglimento dei ghiacciai non sono più sufficienti a soddisfare le molteplici e talora contrastanti esigenze idriche della società e, poiché il divario tra domanda e offerta è sistematicamente colmato con acque sotterranee non rinnovabili, ancor più durante la siccità, le riserve idriche sotterranee in alcune grandi falde acquifere si esauriranno entro alcuni decenni. Il cattivo uso delle acque sotterranee comporta almeno altrettanti rischi per l’esistenza della nostra specie di quanti ne comporti la presenza della COnell’atmosfera.

Le falde acquifere d'acqua dolce sono una delle risorse naturali più importanti, ma negli ultimi decenni, il ritmo con cui le stiamo utilizzando è più che raddoppiato. Questi serbatoi sotterranei, essenziali per la vita su questo pianeta, sostengono corsi d'acqua, zone umide ed ecosistemi, resistono alla subsidenza del terreno ed all'intrusione di acqua salata nelle nostre riserve di acqua dolce. Le analisi dei dati dei satelliti della NASA del progetto GRACE, Gravity Recovery and Climate Experiment, misurando le anomalie nella gravità terrestre causate dai cambiamenti nelle riserve idriche, hanno dimostrato che ventuno dei trentasette più grandi acquiferi del mondo stanno perdendo acqua a un ritmo maggiore di quanto non vengano ricaricati: questi risultati sono ottenuti confrontando la velocità con cui le acque sotterranee vengono utilizzate in correlazione alla velocità con cui la falda acquifera viene reintegrata.

La maggior parte delle falde acquifere delle sedici che si espandono si trovano in regioni boscose remote ed alimentate dalla pioggia, come la foresta pluviale Andina o i boschi dell'Alaska dove, come recentemente abbiamo documentato, si stanno aprendo nuove miniere.

Esistono acquiferi ricostituibili: una volta esauriti, il prelievo d’acqua viene ridotto alla velocità di ricarica ma ve ne sono altri, come le falde acquifere fossili - le più conosciute sono quelle di Ogallala negli Stati Uniti e del Deserto Libico- che sono una risorsa non rinnovabile. Pertanto, lo sfruttamento di questa acqua va considerato al pari di una industria mineraria.

Attualmente ci sono 7,3 miliardi di persone che condividono le risorse di acqua dolce del mondo. Entro il 2050, le Nazioni Unite (ONU) prevedono che la popolazione mondiale raggiungerà i 9,7 miliardi: nutrire tutti potrebbe richiedere il 50% di acqua in più rispetto a quanto è necessario ora. Si stima che il 90% delle persone che faranno aumentare la popolazione, entro il 2050, risieda nei paesi in via di sviluppo, cioè proprio in quei paesi dove l'attività estrattiva può causare, anche per i cambiamenti climatici in atto, un aumento dei conflitti per l’accesso alle risorse idriche.

Non è possibile determinare con certezza il volume delle falde acquifere del mondo, quello che invece è certo è che non esiste vita umana senza la possibilità di bere ed irrigare.

 

 

Riferimenti:


1. EIA briefing: Ganzhou rare earth restoring project of Ganzhou Rare Earth Ltd (Phase I), Beijing General Research Institute of Mining and Metallurgy.

2. Measuring the use of natural resources and its impacts. Indicators and their application. Swiss Academy of Engineering Sciences SATW.

3. The blue and grey water footprint of construction materials: Steel, cement and glass. P.W. Gerbens-Leenesa,a, A.Y. Hoekstrab,c, R. Bosmanb

(a)  University of Groningen, The Netherlands (b) University of Twente, The Netherlands (c) Institute of Water Policy, Lee Kuan Yew School of Public Policy, National University of Singapore, Singapore

4. Thomas, B.F., Famiglietti, J.S. Identifying Climate-Induced Groundwater Depletion in GRACE Observations. Sci Rep 9, 4124 (2019).

5. Taylor, Scanlon, Döll, Rodell, van Beek, Wada, Longuevergne, Leblanc, Famiglietti, Edmunds, Konikow, Green, Chen, Taniguchi, Bierkens, MacDonald, Fan, Maxwell, Yechieli, Gurdak, Allen, - Shamsudduha, Hiscock, Yeh, Holman, Treidel - Ground water and climate change - Nature Climate Chan