TRANSIZIONE ENERGETICA
Il presidente onorario di Wec Italia e Fast ci propone l’articolo “Decarbonizzazione e transizione energetica”, uscito sul n°6 - 2018 della rivista “L’Energia Elettrica”, con alcuni aggiornamenti ed aggiunte che tengono conto, fra l’altro, della presentazione del Piano Nazionale Energia e Clima e dei consumi elettrici 2018 nell’ Unione Europea.
1 - Introduzione
A partire dalla United Nation Conference on Environment and Development del 1992 a Rio, si è posto il problema di sostituire con energie alternative i combustibili fossili, ritenuti responsabili del cambiamento climatico. Vi è stato un susseguirsi di protocolli e conferenze e sono stati dichiarati impegni dai vari paesi per una decarbonizzazione sempre più spinta; l’ambiente è ormai il fattore fondamentale delle politiche energetiche mondiali.
Una situazione dominata dalle fonti fossili, sia nel campo delle energie primarie (85%) che nella produzione di energia elettrica (65%), e gli obiettivi di efficienza energetica impongono che la transizione sia. perseguita in modo efficace. Il percorso ha tuttavia risvolti non solo politici ma anche economici e sociali non trascurabili, a volte non chiaramente evidenziati e quantificati. Occorre un approccio sistemico con valorizzazione non solo degli investimenti “verdi” ma anche delle esternalità sia positive (CO2, salute, occupazione, indipendenza energetica ecc.) sia negative come, ad esempio, i costi addizionali creati al sistema paese dalle rinnovabili non programmabili, da interventi di efficientizzazione, da mobilità sostenibile, da stranded assets di risorse primarie ed infrastrutture e relative forze lavoro da reinserire (es. centrali a carbone che chiudono). E’ necessario essere consapevoli del fatto che la transizione non sarà semplice né indolore e ciò deve essere comunicato con chiarezza e condiviso da chi ne pagherà principalmente i costi, sia quelli diretti sui prezzi dell’energia finale, sia quelli indiretti attraverso il fisco.
Chiaramente, anche se l’approccio generale è valido, per ogni paese occorre una valutazione caso per caso, tenendo conto delle specificità locali e cercando di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione con un mix di interventi al minimo costo. In ogni caso, vale la pena di verificare con numeri e dati la situazione attuale, i possibili trends ed analizzare la validità e l’efficacia di alcune situazioni in atto.
2 - Consumo di risorse energetiche primarie ed emissioni di CO2
Petrolio (33%) carbone (28%) e gas (24%) rappresentano ancora oggi secondo il WEC, World Energy Council, poco più dell’85% dei consumi energetici primari (pari a circa 13,5 GTEP nel 2017 con incremento annuo vicino al 2% ma in riduzione); e ciò rispetto ad una loro quota del 92% nel 2005. Nello stesso arco di tempo le rinnovabili sono salite dal 6,8 al 10%. Pur con uno sviluppo medio annuale in capacità installata rispettivamente del 47 e del 21%, solare ed eolico coprono assieme meno del 3% dei consumi di energia primaria.
Occorre notare che, secondo il WEC, le riserve accertate (R) di combustibili fossili convenzionali rispetto ai consumi (C) annuali sono di oltre 150 anni per il carbone, 50 anni per il petrolio e 55 anni per il gas. Nonostante i forti consumi degli ultimi decenni, petrolio e gas hanno riserve accertate superiori del 50% a quelle di 20 anni orsono, riserve alle quali occorre aggiungere quelle notevoli di petrolio e gas non convenzionali (shale) che hanno visto, specie negli Stati Uniti, un notevole sviluppo.
Non vi è quindi, grazie all’ingegnosità umana, una scarsità di risorse primarie fossili, come paventato nel secolo passato, ma il vero problema è diventato quello ambientale legato alla produzione di gas serra nel loro utilizzo. Specie per petrolio e gas occorre anche considerare la localizzazione di importanti risorse in zone politicamente critiche.
Un fattore rilevante a partire principalmente dal 2000 è stato lo spostamento della concentrazione della domanda di energie primarie dai paesi industrializzati verso quelli emergenti, con l’Asia (Cina in testa) balzata al vertice dei consumi con un 42% secondo gli ultimi dati di BP, seguita da Europa (21,5%), Nord America (21%), Medio Oriente (6,7%), America del Sud e Centrale (5,3%) e, infine, dalla povera Africa che, pur avendo una popolazione di oltre il 15% di quella mondiale, contribuisce al 3,3% dei consumi. Il divario continua ad aumentare con tassi annuali medi di crescita nell’ultimo decennio vicini al 4% per Asia e Medio Oriente, 3% per America del Sud/Centrale ed Africa, contro un -0,4% dell'Europa e un -0,2% del Nord America. Occorre notare che il contributo dei paesi non OCSE ai consumi di petrolio e gas è del 53% ed in forte aumento e di ben il 78% per il carbone.
Ciò si riflette chiaramente sulle emissioni di CO2, dove i paesi non OCSE sono ora responsabili di un 63% (con un aumento medio annuo del 3,4% nell’ultimo decennio) e con i paesi OCSE al 37 % (con un decremento medio annuo negli ultimi 10 anni dell’1%). L’Unione Europea (Inghilterra esclusa) presenta una quota del 9,2%, con un decremento medio annuo del 2% e la Germania, con una produzione di elettricità dipendente per oltre il 36% da lignite e carbone, ha una quota del 2,3 % delle emissioni globali di CO2, seguita da Italia 1%, Francia e Polonia 0,9% e Spagna 0,8%.
Con riferimento allo sviluppo dei consumi di risorse primarie, le proiezioni di 9 diverse istituzioni presentano sensibili differenze e la figura 1 riporta, per il periodo 2015-2035, il previsto aumento annuo in % suddiviso tra idraulico e altre rinnovabili, nucleare, carbone, gas e petrolio.
Figura 1 - Previsioni di aumento % medio annuo dei consumi di energie primarie dal 2015 al 2035 suddiviso per fonti secondo 9 differenti istituzioni internazionali (elaborazioni di WEC Italia da IEA)
L’incremento % annuo del globale delle risorse primarie varia tra circa 0,95 a 1,45 ed elaborando le 9 previsioni si ottiene, come qui sotto riportato, un valore medio del contributo dalle singole fonti.
-Idro&FER da 20 a 28% media 24,0%
-Nucleare da 6 a 12% media 9,0%
-Carbone da - 2 a 16% media 7,0%
-Gas da 35 a 44% media 39,5%
-Petrolio da 10 a 31% media 20,5%
Il gas è quindi previsto come la risorsa caratterizzata dalla maggior quota nello sviluppo delle risorse primarie, seguito dalle rinnovabili; il petrolio mantiene una importante quota per trasporti e petrolchimico, il carbone presenta le massime differenze nelle proiezioni con un incremento medio inferiore a quello del nucleare.
Chiaramente per alcuni decenni le risorse primarie fossili continueranno ad avere un ruolo importante con il gas in netta ascesa.
La decarbonizzazione, che è una questione globale, si evolverà in base alle emissioni nei paesi non OCSE e con un contributo UE sempre più marginale, stimato pari al 6% al 2040. Nelle previsioni occorrerà tenere in debito conto quante persone potranno accedere, ed in quale misura, ad energie primarie commerciali, di quel miliardo che, ad oggi, non vi hanno accesso, nei paesi non OCSE.
3 - Il settore elettrico
Il settore elettrico è quello che ha avuto la maggior evoluzione verso nuove regole di mercato, introduzione di rinnovabili e una pervasiva diffusione delle tecnologie IC. Il cambio, in 16 anni, della situazione mondiale è riportato nella tabella 1 per quanto riguarda il contributo delle risorse primarie alla produzione di elettricità che, nel 2017, è stata di 25570 TWh.
2001 | 2017 | |||
Carbone | 38,7% | 38% | ||
Petrolio | 7,4% | FF 64,7 % | 4% | FF 65% |
Gas | 18,6% | 23% | ||
Nucleare | 17,1% | 10% | ||
Idroelettrico | 16,5% | 16,2% | ||
Biomasse | 1,1% | FER 18,2% | 2,3% | FER 25% |
Altre FER | 0,6% | 6,5% |
Tabella1 - Contributo delle differenti risorse primarie alla produzione mondiale di elettricità (Elaborazioni da IEA)
Il contributo delle fonti fossili (FF), dal 2001, è praticamente rimasto ad un valore vicino al 65%, con il carbone dominante ed oscillante tra un 37,5 e 39%, ma con il gas dal 18,6 al 23%, a spese di un petrolio sceso dal 7,4 % al 4%. Le rinnovabili (FER) sono salite dal 18,2 al 25 %, a spese del calo del nucleare (ora a circa 10%), con un idroelettrico praticamente costante vicino al 16% ma con biomasse dall’1,1% al 2,3% e le altre FER (fondamentalmente eolico e fotovoltaico) da uno 0.6% a circa il 6,5% ma oltre il 7% previsto nel 2018.
Vale la pena di notare che il carbone è sceso in quota dal 38% del 2000 al 28% nei paesi sviluppati, contro un aumento dal 38% al 50% in quelli emergenti; il gas in aumento dal 15% al 28% nei paesi sviluppati e costante ad un 20% nei paesi emergenti, pari all’idroelettrico, che vede un leggero declino nei paesi sviluppati. Il petrolio vede un declino in entrambe le tipologie dei paesi e le rinnovabili vedono un forte sviluppo con quote percentuali superiori nei paesi sviluppati.
Ma come è l’andamento previsto della decarbonizzazione nel settore elettrico in due scenari abbastanza estremi? La figura 2 riporta le previsioni al 2040 di BP e Bloomberg:
Figura 2 - Andamento del contributo delle diverse risorse primarie alla produzione di energia elettrica secondo BP (diagramma in alto) e Bloomberg (diagramma in basso).
Il settore elettrico al 2040 vede quindi, secondo BP, una quota fossile del 53% (27% carbone, 24% gas, 2% petrolio), FER 38% (13% idro e 25% le altre, fondamentalmente vento e fotovoltaico) e nucleare 9%. Il carbone è ancora la risorsa primaria per il settore elettrico.
Per Bloomberg, nel 2040, la produzione totale di 38.000 TWh vede le FER al 51% (2/3 da eolico e fotovoltaico), i combustibili fossili al 40% e nucleare al 9%. Anche secondo le previsioni più ottimistiche per una decarbonizzazione, le fonti fossili contribuiranno ancora per oltre il 40% alla produzione di elettricità nel 2040 e con una quota carbone non trascurabile.
4 - L’Unione Europea, la strategia italiana ed un confronto con la Germania per le rinnovabili elettriche
L’Unione Europea è stata, negli anni passati, il protagonista principale nella corsa alla decarbonizzazione, con il suo programma 20-20-20 e poi con il Clean Energy Package; recentemente gli obiettivi sono stati posti per il 2030 con un 32% di quota delle rinnovabili nella globale energia consumata; ciò si ribalta sul sistema elettrico con quote dell’ordine del 55%. Vale la pena di analizzare la situazione al 2018 della produzione di elettricità per risorse primarie nella UE, riportata nella figura 3
Figura 3 - Produzione di elettricità nel 2018 nell’Unione Europea suddivisa per risorse primarie utilizzate (da Agora Energiewende).
L’impresa di sostanziale decarbonizzazione risulta notevolmente impegnativa, considerando la chiusura di altri 8 reattori nucleari in Germania e gli impatti sociali ed economici relativi alla chiusura di centrali a lignite e carbone che oggi producono il 20% dei 3250 TWh UE; i paesi con maggior dipendenza dal carbone sono, al 31/12/2018, Danimarca, Olanda, Romania, Portogallo e Slovenia con quote tra il 20 e 31%, Grecia 34%, Germania 36%, Bulgaria 43%, Repubblica Ceca 47% e Polonia 77%.
Risulta interessante un confronto fra Italia e Germania sulla base dei dati consolidati del 2017.
L’Italia, secondo ARERA, ha avuto circa 35 TWh di produzione da carbone (solo il 12% dei totali rispetto al 37% della Germania) con emissioni di CO2 pari a circa 30 Mt (8% delle emissioni italiane per usi energetici), una forte produzione da gas, niente nucleare e quindi costi di produzione ben superiori a quelli tedeschi.
La Germania ha avuto, nel 2017, circa 150 TWh prodotti da lignite e 112 da carbone, con emissioni di CO2 valutabili in 240 Mt, pari ad 8 volte le emissioni per elettricità da carbone in Italia; punta molto su eolico, specie off shore, e dovrà tenere in conto l’uscita programmata entro il 2022 degli ultimi 8 gruppi nucleari. La Germania non proclama l'uscita dal carbone a breve e, dal recente documento di fine gennaio 2019 della “khole commission”, la propone per il 2038 con possibile anticipazione al 2035 da valutarsi nel 2032; sono proposti 40 miliardi di € di indennizzi per le regioni con miniere e speciali misure da meglio definire al fine di evitare sensibili aumenti delle già alte tariffe elettriche .E’ prevista la chiusura entro il 2022 di 12.7 GW di centrali a lignite ma con compensazioni non ancora definite e con contestazioni dai proprietari.
Venendo all’Italia è stato scritto nella SEN e ribadito nel recente PEC che tutte le centrali a carbone verranno chiuse entro il 2025. Chiaramente, sia per l’Italia che per la Germania, per l’effettivo raggiungimento dell’obbiettivo temporale della chiusura delle centrali a carbone, saranno determinanti le reali località e tipologia delle nuove FER, le procedure per promuovere/definire gli investimenti in nuova generazione e relativi impatti sulla rete, le tempistiche per i permessi ed i totali costi effettivi con la loro attribuzione a chi e come li pagherà.
In Italia, il PEC al 2030 prevede 30 e 10 GW addizionali rispettivamente da fotovoltaico ed eolico con una potenza in servizio al 2030 da fonti rinnovabili intermittenti di 70 GW rispetto ai circa 30 attuali (20 GW fotovoltaico e 10 GW eolico). Ci si chiede quali costi effettivi ricadranno su clienti e cittadini con tali programmi di FV ed eolico. Tra l’altro si pongono le seguenti domande:
1) Dimentichiamo la complessa variabilità di vento e FV?
- In Irlanda, nel 2013, per l’eolico, a parte fortissime escursioni (vedi figura 4), la potenza immessa in rete dai 3000 MW di tutte le centrali eoliche collegate al sistema elettrico è stata praticamente zero (vedi figura 4) per tutto il mese di luglio; situazione non certo risolvibile con sistemi di accumulo elettrico.
- In Germania, come presentato al recente congresso del CIGRE da alcuni TSO, Transmission System Operator tedeschi, nel 2017 per 3 settimane consecutive, la potenza immessa in rete da eolico e fotovoltaico è stata inferiore all’8% della loro totale potenza installata (superiore ai 100 GW). Situazione risolta con riduzione delle forti esportazioni di energia elettrica dalla Germania e non certo risolvibile in futuro con sistemi di accumulo elettrico. Una adeguata tipologia di capacity market con appropriate tecnologie per lunghe durate dovrà essere seriamente esaminata contando anche su interconnessioni con altri stati, ma con quali tempi ed affidabilità in mancanza di un mercato unico europeo?
Figura 4-Variabilità della potenza immessa in rete nel 2013 da tutto il parco eolico irlandese (1)
- A Firenze, in una giornata soleggiata di dicembre, si ha 1/3 di potenza/energia rispetto ad una giornata soleggiata a luglio (figura 5). Come verrebbe dimensionata l’eventuale capacità di storage per sopperire alla stagionalità?
Figura 5 - Variabilità stagionale e giornaliera della generazione, nella zona di Firenze, di un piccolo impianto fotovoltaico (1)
-“L’overgenaration “(energia disponibile da FER che supera la necessità del carico con conseguente non assorbimento dalla rete), con un picco di carico intorno a 60-65 GW, con 70 GW di rinnovabili, è stata adeguatamente valutata e controbilanciata con appropriati investimenti o penali pagate per i proprietari degli impianti FER?
-In Germania il valore medio delle penali pagate dai TSO è stato di circa 70 €/MWh per energia eolica non ritirata e 310 per il fotovoltaico.
2) Dimentichiamo che, durante l’estate, (figura 6) in Italia, al calar del sole, si hanno già ora “rampe in salita” come richieste dal “carico residuo” di circa 15 GW in 3 ore, rampe attualmente provviste dai cicli combinati, idroelettrico ed interconnessioni? Con oltre il raddoppio della potenza prevista al 2030 dalla PEC per il fotovoltaico, tali rampe saliranno ad oltre 35 GW in 3 ore, richiedendo anche l’intervento di adeguati sistemi di storage con elevata energia di accumulo oltre che di potenza.
Figura 6 - Rampe di “carico residuo” fornite dalle centrali, escludendo il FV, per sopperire al calar del sole la potenza non più fornita dal fotovoltaico. Situazione in una domenica estiva in Italia.
3) E la bassa potenza di corto circuito in rete, specie in giornate di basso carico e forte produzione di rinnovabili collegate tramite inverters, con le relative problematiche per contenere le cadute di tensione a seguito di guasti e per il corretto funzionamento delle protezioni e per mantenere una stabilità del sistema? Si rimanda alla figura 7 da Terna. Sia eolico che FV e sia eventuali sistemi di accumulo a batterie danno un ben scarso contributo alla potenza di corto circuito.
Figura 7 - Ampliamento delle aree che hanno una caduta di tensione maggiore del 10% a seguito di inevitabili guasti. Situazione per effetti di un guasto in un punto dell’Italia del Sud nel 2005 prima di un forte sviluppo di FV ed eolico (area più scura) e nel 2015 (area più chiara) a seguito del forte sviluppo di FV ed eolico.
Dal punto di vista tecnico tutto è risolvibile e produttori, TSO e DSO sono stati capaci di mantenere sicurezza e qualità dell’energia fornita, ma quali costi ci aspettano?
4) Dimentichiamo, in Italia, le bolle di fotovoltaico (9,3 GW di potenza installata annuale nel 2011 e circa 0,4 GW nel 2014/15/16 e 17) ed eolico (da circa 1-1,2 GW/anno dal 2008 al 2012 agli 0,35 GW del 2017)?
5) Dimentichiamo che clienti fondamentalmente domestici e PMI continueranno, secondo il GSE, a pagare ancora per 10 anni gli incentivi alle FER attualmente in servizio, incentivi in discesa sì, ma calanti da 12 a circa 7 miliardi all’anno? Tali incentivi, volenti o nolenti, corrispondono ad una valorizzazione di varie centinaia di euro alla tonnellata di CO2 evitata; dai dati GSE, i 290 €/MWh per il fotovoltaico del 2017 corrispondono a circa 350 €/tonnellata di CO2 evitata se prodotta dal carbone (0,85 t CO2/MWh) e ben oltre il doppio se prodotta da cicli combinati.
6) Dimentichiamo, come sottolineato nel recente convegno dei principali Grid Operators (GO15) con ICER (International Center Energy Regulators), che ad ogni € investito in eolico e fotovoltaico corrispondono almeno altrettanti € di investimenti indispensabili nel sistema elettrico per mantenerne qualità e sicurezza delle forniture? E, al costo degli investimenti, vanno aggiunti quelli di funzionamento e manutenzione.
In Germania, dai loro dati ufficiali, gli oneri 2016 ai clienti per gli incentivi alla pura produzione da FER sono stati di 250 euro/MWh per il FV, 210 per l'eolico offshore, 113 per le biomasse e 76 per l'eolico onshore. Con rifermento alla media di emissioni del parco tedesco, la CO2 evitata con FV è costata 490 euro/t; se sostitutiva di produzione da carbone circa 280.
Con la riduzione delle emissioni di futuri parchi di generazione con forti presenze di FV ed eolico, tanto maggiore sarà la penetrazione delle rinnovabili, tanto maggiore risulterà il costo della tonnellata di CO2 evitata.
I numeri di cui sopra sono retaggio di una politica passata verso le rinnovabili con approccio troppo “generoso” e forse poco valutato in termini reali, con feed-in tariff o altri incentivi; si sono introdotte forti distorsioni nel “cosiddetto” mercato elettrico, i cui valori dipendono sempre più dalle condizioni climatiche (presenza e variabilità di sole e vento). Il prezzo in borsa dell’energia non rappresenta più un indice dei costi ai clienti finali (più o meno privilegiati per incentivi e tasse) per i quali il prezzo della “materia prima energia” andrà sempre più diminuendo in valore percentuale. Tale politica ha consentito però nel settore elettrico in Italia di ridurre notevolmente le emissioni, di creare aziende ora operanti all’estero, di ridurre le importazioni di energia primaria, ecc…
Risulta essenziale per il futuro l'adozione di un approccio olistico, partendo da una precisa conoscenza della situazione attuale e con dettagliate analisi tecniche e socio economiche sugli impatti delle FER, evidenziando esternalità positive e negative per arrivare al raggiungimento degli obiettivi al minimo costo per il Paese. E qui sarà compito in Italia dei politici e di ARERA di definire sostegni adeguati per far prevalere le soluzioni più valide a livello paese. Chi definirà entità, durata e tipologia del capacity market necessario a non far stare al buio e al freddo una parte della popolazione se per qualche giornata non si avrà energia da FER? E chi ne sarà ritenuto responsabile? Quale impatto ci sarà sul TSO che risulta il garante di qualità del servizio e sicurezza del funzionamento del sistema elettrico?
5 - Luci ed ombre per le FER con costi ribaltati su clienti finali e cittadini
Fotovoltaico ed eolico hanno fatto salti tecnologici enormi con crollo del costo del kWh da loro prodotto nel luogo di loro installazione. Nuove procedure (aste e TPA) e lo sviluppo tecnologico hanno portato impianti di fotovoltaico ed eolico in alcuni paesi a prezzi del kWh offerto (meno di 20 €/MWh), inimmaginabili solo 3 anni orsono. Sono valori da non estrapolare con faciloneria, considerando le diverse situazioni di insolazione e vento ed i differenti costi e procedure locali e, in Italia, si parla di poter scendere a circa 50 € MWh per grossi nuovi impianti.
Occorre però ricordare, come sopra accennato, che per un corretto ed affidabile funzionamento del sistema elettrico globale, quando le rinnovabili non programmabili raggiungono valori in percentuale di potenza installata elevati, necessitano di notevoli investimenti addizionali per:
- le modifiche ed espansioni del sistema di trasmissione e distribuzione;
- una maggior disponibilità di potenza di riserva anche per rampe in salita e discesa;
- per sistemi di stoccaggio (attenzione alla stagionalità!);
- per un capacity market che assicuri non solo la regolazione della frequenza ma anche la sicurezza di forniture di energia per prolungate assenze di vento e/o sole;
- per oneri di bilanciamento;
- per mantenere un adeguato livello di potenza di corto circuito ed energia cinetica nel sistema ecc.
Il tutto è tecnicamente possibile come più sopra menzionato, ma tali costi addizionali arrivano per alcune FER e loro siti a valori notevoli, aumentando il prezzo dell’energia ai clienti finali pur in assenza di incentivi alla produzione da FER. Occorrono quindi approfondite analisi tecniche, sociali ed economiche, comparando differenti alternative per la riduzione delle emissioni, ottimizzando il mix di interventi su
- efficienza energetica,
- trasporti,
- produzione di elettricità e calore.
Tutto ciò, dando appropriati valori ai vantaggi ambientali ed alle esternalità positive e negative. Le discussioni dovrebbero essere incentrate quindi sui valori o range di valori da considerare.
Una volta definiti e concordati tali “parametri” strategici e un range per le loro valorizzazioni, sulla base di CAPEX ed OPEX delle varie tecnologie attuali e tendenziali (che siano “ragionati” e non utopistici) si possono identificare linee di sviluppo che si avvicinano ad un mix ottimale per il paese, per efficienza energetica, trasporti, rinnovabili, e per le loro sotto tecnologie.
Un esempio eclatante sui costi addizionali di alcune rinnovabili viene dagli investimenti in eolico off shore nel Baltico/Mare del Nord della Germania: nelle ultime gare, alcuni investitori hanno offerto di accettare per 20 anni il prezzo che si stabilirà in borsa (grid parity), ora cica 35€/MWh, previsto al 2025 tra 38 e 60 in funzione del prezzo della CO2.
Il sistema di trasmissione off-shore (da centrali eoliche a terraferma) e quello on-shore (tra terraferma e carichi posti al centro-sud della Germania e con 3 corridoi in cavo interrato da 2500 MW ciascuno in corrente continua) sono a carico dei TSO’s e comportano oltre 25 miliardi di investimenti specifici di trasmissione. Considerando 7500 MW per 3500/h anno medie e 20 anni con una discount rate del 6- 7% si hanno oltre 70 €/MWh dovuti alla trasmissione per convogliare l’energia verso le aree di consumo.
A questi, vanno aggiunti i costi addizionali al sistema già menzionati sopra per la non programmabilità.
Un altro settore che merita approfondimenti per i suoi costi/benefici al paese è quello della produzione distribuita domestica in Italia. La situazione è in sintesi:
- attuali clienti domestici: circa 30 milioni;
- consumo elettrico domestico: 22 % del totale;
- prosumers totali, circa 700.000 (come dai dati forniti dal Politecnico di Milano), in gran parte domestici, i quali sono responsabili di 0,44% dei totali consumi elettrici, con un tasso di crescita del 7% all’anno con gli attuali incentivi al CAPEX, riduzione sul pagamento degli oneri di sistema e vantaggio di scambio sul posto; nel 2030, se mantenuti gli incentivi e il tasso di sviluppo, i prosumers domestici rappresenterebbero meno dell’1% dei consumi elettrici italiani;
- i clienti domestici che potrebbero installarsi il loro microimpianto FV non sono molti in Italia (grande maggioranza di famiglie in edifici con vari appartamenti e quindi problema di effettiva realizzabilità di impianti condominiali con le assemblee ben note per la loro inefficienza per nuovi investimenti);
- il costo unitario di un “impianto micro” singolo FV installato sul tetto in Italia per 3-5 kW di potenza nominale è tra 1500 e 3500 €/kW, in funzione di ubicazione della casa e oneri di installazione sul tetto esistente;
-considerando l’orientamento delle case esistenti e inclinazione dei tetti, l’efficienza media è sensibilmente inferiore a quella di un impianto ben orientato a terra o su ampie tettoie; il costo del kWh prodotto da un «impianto mini» di 400 kW capace di alimentare circa 100 utenti domestici, sarebbe di circa 1/3 del kWh prodotto da un «impiantino micro» singolo;
- l’Italia ha un sistema capillare di distribuzione dell’elettricità evoluto ed automatizzato e che serve anche le zone più isolate del paese;
- nel campo della mobilità il concetto di proprietà sta evolvendosi verso il car sharing, car pooling, car renting; nel settore elettrico, il signor Brambilla può sentirsi orgoglioso di possedere il suo impiantino FV, che fa costare 3 volte il kWh prodotto al Paese rispetto ad un impianto mini che aggrega gli interessi di un centinaio di clienti, distribuendo l’energia sugli assets esistenti di distribuzione che verrebbero valorizzati? Aggregatori non solo della gestione della produzione di impianti esistenti ma dello sviluppo di nuove realtà che aggregano in un unico impianto i potenziali interessi per il fotovoltaico di vari potenziali clienti dovrebbero essere incentivati da ARERA.
- ha senso ed è democratico che l’Italia incentivi tale «distributed solution» dove un cittadino che non può o non vuole installare un suo impiantino FV contribuisca sia agli incentivi in conto capitale pagati per l’impianto FV di una bella villa con piscina e sia agli oneri di sistema non pagati ed ai vantaggi dello scambio sul posto?
-Alcuni risparmi negli investimenti nella rete di distribuzione con “domestic distributed generation” dovranno essere esaminati se e quando ci sarà una massiccia utilizzazione di carica a casa di veicoli elettrici e di pompe di calore; il FV potrà essere dimensionato per la potenza addizionale richiesta, con costi da comparare con quelli dello sviluppo della rete.
6 - CONCLUSIONI
Occorre rendersi conto che una transizione verso una decarbonizzazione implica maggiori costi dell’energia ai cittadini/clienti, stranded costs di strutture energetiche e stranded assets di risorse primarie: non sarà semplice ed indolore.
La decarbonizzazione è globale e sarà fondamentalmente legata ai paesi non OCSE che sono e saranno sempre più i principali emettitori di gas serra. Chiaramente ognuno dovrà dare il massimo ma è lecito chiedersi quanto gli sforzi della UE sul suo territorio incideranno sulle emissioni globali e sulla sua competitività rispetto a sforzi ed investimenti in paesi non OCSE.
Obiettivo di una strategia energetica deve essere quello di favorire un equilibrato sviluppo socio economico, rispettando l’ambiente e preservando la competitività del Paese, in un mercato globale dove saranno vincenti quelle nazioni che sapranno ottimizzare ambiente, economicità e qualità delle forniture energetiche a industrie e famiglie nell’ambito di una sicurezza degli approvvigionamenti; occorrerà, nella transizione, superare sterili battaglie iniziali tra fonti fossili e rinnovabili, tra concentrate e distribuite, e ricordare che la competitività di una nazione è legata alla vera bolletta energetica che è quanto pagano industrie e consumatori per elettricità, gas, carburanti, ecc.
A tal fine è necessario un complesso approccio sistemico che abbia come scopo quello di arrivare a una condizione quanto più possibile ottimale per il sistema paese per il raggiungimento degli obiettivi ambientali al minimo costo; e non è scontato che l’ottimo per il sistema coincida con l’ottimo di alcuni settori spinti da interessi particolari che sfociano poi in “bolle” al decrescere dei sostegni.
Occorre quindi un accordo sul come e quanto siano valutate le esternalità, sia positive che negative, legate a ogni attività “energetica”. Una loro valorizzazione quantitativa è essenziale, non solo per le emissioni climalteranti, ma anche per numerosi altri aspetti non meno rilevanti come tra l’altro:
- valorizzazione dell’impatto sull’occupazione (Unità di Lavoro create/eliminate), così importante per il nostro paese con una disoccupazione alle stelle;
- peso dato ai vantaggi per l’erario da maggiori entrate da tasse su persone fisiche ed industrie per maggiori attività;
- peso dato alle emissioni di polveri sottili, da trasporti o da combustione di fonti fossili e biomasse, che comportano notevoli costi al sistema sanitario;
-valore dato alle TEP evitate (e quindi non importate: bilancia pagamenti e sicurezza forniture) con le varie FER e con l’efficienza energetica;
- peso che diamo allo sviluppo di tecnologie innovative, all’IoT (Internet of things), all’industria 4.0 e così via.
Ma per la produzione elettrica da fonti rinnovabili non programmabili, oltre ai vantaggi sopra citati, occorre rivedere il concetto di grid parity che non può essere riferibile al solo costo locale della produzione, ma deve includere i costi addizionali al sistema elettrico ed un bilancio tra occupazione e disoccupazione creata. Sia un “nodal pricing” che il ribaltamento sulla produzione da vento ed eolico di alcuni costi legati alla loro localizzazione e non programmabilità (sviluppo della rete, riserva di potenza, sbilanciamenti, rampe, stoccaggi ecc.) ma con adeguate penalizzazioni per le emissioni da fonti fossili, come attuato in alcune nazioni, dovrebbero essere considerati dal regolatore. E qui nuove tipologie per un mercato elettrico sono fondamentali.
Non soffermiamoci a parlare solo di valore in €/MWh delle aste per FER e di «distribuito e piccolo è bello e democratico»; valutiamo i veri costi al paese delle varie alternative ribaltati sulle bollette o tasse, chiaramente tenendo in conto le esternalità positive come sopra menzionate e con un approccio olistico che consideri tutte le risorse sia concentrate che distribuite e nella transizione iniziale anche le fossili più interessanti.
Il vero rischio di una stabile transizione energetica sta in una troppo rapida accelerazione e nell’eventuale ribaltamento non correttamente valutato di costi eccessivi sui cittadini/clienti; e ciò con le inevitabili reazioni, problematiche sociali e stop&go con “bolle” ben note e oneri di durate ultradecennali e di svariati miliardi di euro annuali.
In ogni caso, i cittadini debbono essere resi consapevoli sull’importanza delle problematiche ambientali e su quanto pagheranno l’energia, in modo da condividere le scelte.
E’ essenziale un nuovo sistema regolatorio con approccio olistico e contenente adeguate certezze ma anche flessibilità, tenendo conto della rapidità dell’evoluzione tecnologica; e ciò in un’era nella quale il “saper fare” passa in secondo ordine rispetto ad un “far sapere” che con prospettive mirabolanti e sovra enfatizzazioni iniziali rischia di ritardare o uccidere nella culla la decarbonizzazione.
Lavoriamo insieme per una effettiva transizione con approcci seri e con il conforto della ragione, senza un passivo adeguarsi alle prevalenti ed affascinanti ideologie che hanno tuttavia il merito di promuovere e spingere innovazioni e loro applicazioni.
*Presidente onorario di WEC Italia e FAST
REFERENZE
(1) Rapporto del Gruppo di Lavoro WEC coordinato da Clerici “Variable Renewables Integration in Electricity Systems :how to get it right”- 2016-www.worldenergy.org