QUEL CHE C’È DA SAPERE
Dopo il ministero dello Sviluppo economico e dopo la commissione industria del Senato, anche la commissione attività produttive della Camera ha sollevato critiche alla proposta della Commissione in materia di efficienza energetica, che modifica la direttiva attualmente in vigore (2012/27). In una risoluzione approvata il 21 giugno, la commissione di Montecitorio ricorda che, secondo le valutazioni della Commissione europea, il quadro normativo e le politiche vigenti consentirebbero di conseguire una riduzione del consumo di energia a livello dell’Ue del 23,9% entro il 2030. Il Consiglio europeo dell'ottobre 2014 ha portato l'obiettivo di efficienza energetica al 27%, da raggiungere nel 2030 e da riesaminare entro il 2020, “tenendo presente un livello Ue del 30 per cento”. Sulla base di questo indirizzo, la Commissione Ue ha presentato la proposta di nuova direttiva, fissando un obiettivo vincolante a livello dell’Unione di miglioramento dell'efficienza energetica del 30% per il 2030 e prevedendo che gli Stati membri stabiliscano i contributi nazionali di efficienza energetica attraverso piani nazionali integrati per l'energia e il clima.
Il punto critico è costituito dalla proposta di modifica dell’art. 7 dell’attuale direttiva, che estende dal 2020 al 2030 l'obbligo per gli Stati membri di realizzare un risparmio annuo dell'1,5% in volume delle vendite medie annue di energia ai clienti finali. Il calcolo dei risparmi richiesti per il 2030 è riferito al volume delle vendite medie annue realizzate nel triennio 2016-2018. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti a realizzare risparmi annui dell'1,5% anche per periodi decennali successivi al 2030, a meno che la Commissione Ue, in sede di riesame entro il 2027, non li ritenga più necessari per il conseguimento degli obiettivi per il 2050.
Secondo la risoluzione della commissione attività produttive della Camera, “occorre verificare se tutte le indicazioni contenute nella proposta di direttiva rispondano pienamente agli obiettivi prefissati ovvero se non siano suscettibili di creare sperequazioni e favorire comportamenti opportunistici da parte di Stati membri meno virtuosi”. Questo vale, in particolare, “con riferimento al criterio dell'addizionalità dei risparmi energetici, fissati nello 1,5% anno, in base al quale sono conteggiati solo i risparmi energetici aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero prodotti comunque. Si tratta di un approccio complesso che si presta a disparità tra gli Stati membri in funzione delle loro caratteristiche e scelte. In primo luogo nella valutazione differenziale del termine aggiuntivo. Ma, in particolare, non tiene conto degli sforzi già realizzati dagli Stati membri nel settore dell'efficienza energetica e specificamente dell'intensità energetica, rischiando di penalizzare i Paesi che, come l'Italia, hanno raggiunto risultati positivi in materia di efficienza energetica e godono di livelli di intensità energetica inferiori alla media Ue”.
La risoluzione afferma che "sarebbe opportuno introdurre una ripartizione più equa dell'onere di riduzione dei consumi di energia tra gli Stati membri, che tenga conto della condizione dei singoli Paesi e, in particolare, dell'indice di intensità energetica ovvero fissare obiettivi specifici per ciascun Paese membro”.
Il rischio che la proposta della Commissione Ue possa risultare punitiva per i paesi come l’Italia, che hanno già raggiunto un elevato livello di efficienza energetica, era stato segnalato durante un’audizione al Senato anche dagli Amici della Terra, secondo i quali l’assunzione dell’intensità energetica come principale obiettivo costituirebbe la premessa per un’effettiva integrazione delle politiche ambientali con le politiche industriali.