QUEL CHE C’È DA SAPERE
Le commissioni ambiente e attività produttive della Camera hanno iniziato l’esame della proposta di direttiva sulla promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili e della comunicazione della Commissione Ue Nuovo slancio all'innovazione nel settore dell'energia pulita, in cui la Commissione dichiara di voler “concentrare in modo più efficace i futuri finanziamenti disponibili nell’ambito di Orizzonte 2020 su quattro priorità strategiche interconnesse, tutte basate sulla digitalizzazione come fattore chiave”:
La proposta di direttiva, invece, fa parte del pacchetto Energia pulita per tutti gli europei e mira a garantire il conseguimento dell’obiettivo Ue del 27% del consumo di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, concordato in sede di Consiglio europeo nell’ottobre 2014. A differenza dell’attuale direttiva 2009/28/CE, che assume come orizzonte temporale il 2020, con la proposta di nuova direttiva la Commissione non prevede l’introduzione di target nazionali vincolanti, ma fissa un obiettivo collettivo a livello di Unione. La proposta prevede, invece, misure vincolanti per settore: energia elettrica, riscaldamento-raffrescamento e trasporti.
La soluzione individuata dalla Commissione è quella di un partenariato con gli Stati membri e la combinazione dei loro piani nazionali, sostenuti da un quadro di misure comuni a livello unionale. A giudizio della Commissione europea, la proposta si è resa necessaria perché le proiezioni indicano che, in assenza di nuove iniziative, la quota di rinnovabili nell’energia consumata nel 2030 si attesterebbe intorno al 24,3% - molto al di sotto dell’obiettivo minimo del 27% - e potrebbe impedire all’Unione di rispettare collettivamente gli impegni assunti con l’accordo di Parigi del 2015. Inoltre, in assenza di un quadro normativo aggiornato, sussiste il rischio che si accentuino le differenze tra gli Stati membri, per cui quelli più virtuosi continuerebbero a incrementare la loro quota di energie rinnovabili, mentre gli altri non avrebbero alcun incentivo ad aumentare la produzione e il consumo di energia da rinnovabili, con conseguente possibile distorsione del mercato interno dell’energia.
Nella documentazione pubblicata dalla Camera, tra le disposizioni introdotte dalla proposta di direttiva si segnalano in particolare quelle in materia di:
• schemi di sostegno, che vengono parzialmente aperti alla partecipazione di produzioni provenienti da altri Stati membri;
• garanzie di origine dell’energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili;
• semplificazione delle procedure per il rilascio delle autorizzazioni dei progetti di energia rinnovabile;
• autoconsumatori e comunità produttrici/consumatrici;
• obiettivi settoriali per il riscaldamento/raffrescamento e i trasporti.
Gli Uffici della Camera sollevano perplessità in merito ad alcune novità introdotte dalla proposta di direttiva. Ad esempio, l’articolo 3 fissa l’obiettivo vincolante dell’Unione per il 2030, prevedendo che gli Stati membri assicurino collettivamente che la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo sia almeno pari al 27%. L’articolo 3 prevede anche che la quota di energia da rinnovabili di ciascuno Stato membro non possa essere inferiore all’obiettivo fissato per il 2020. Inoltre, gli Stati membri stabiliscono e notificano alla Commissione i propri contributi all’obiettivo per il 2030 nei rispettivi piani nazionali integrati per l'energia e il clima. Infine, a partire dal 2021, viene eliminato l’obiettivo del 10% di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti.
L’Ufficio Rapporti con l’Unione europea della Camera osserva che “il testo sembra presentare una parziale contraddizione laddove, per un verso, rende più stringenti gli obiettivi comuni da conseguire a livello dell’Ue e, per altro verso, attenua gli obblighi gravanti su ciascun Paese membro attivando una sorta di “partenariato”, peraltro non puntualmente definito sul piano normativo e procedurale tra i diversi Paesi. Si può al riguardo prospettare l’eventualità che la previsione di un obiettivo collettivo possa essere smentita dai comportamenti concreti di singoli Stati membri, pregiudicando in tal modo l’esito finale. Ciò in considerazione del fatto che alcuni dei maggiori consumatori di energia nell’ambito dell’Ue si collocano molto al di sotto del target previsto per il 2020: ad esempio Germania, Francia e Polonia che, ovviamente, incidono sul dato complessivo del consumo molto più dei Paesi più virtuosi (Svezia, Finlandia, Danimarca)”.
Perplessità vengono manifestate anche sull’articolo 5, che al primo paragrafo prevede l’apertura dei regimi di sostegno per l’energia elettrica da fonti rinnovabili ai produttori con sede in un altro Stato membro, volendo evitare in tal modo il rischio di interventi discriminatori all’interno dell’Ue. Lo stesso articolo, al secondo paragrafo, prevede che gli Stati membri debbano assicurare che il sostegno sia aperto parzialmente e progressivamente agli impianti ubicati in altri Stati membri (almeno il 10% all’anno tra il 2021 e il 2025 e almeno il 15% all’anno tra il 2026 e il 2030), mediante procedure di gara aperte, congiunte, sistemi di certificazione aperti o regimi di sostegno congiunti. L’allocazione dell’energia elettrica rinnovabile che beneficerà del sostegno sarà oggetto di un accordo di cooperazione transfrontaliera che stabilirà le norme per l’erogazione del finanziamento, sulla base del principio che l’energia va contabilizzata a favore dello Stato membro che ha finanziato l’impianto.
L’Ufficio Rapporti con l’Unione europea della Camera osserva che, “mentre il primo paragrafo impone un divieto di discriminazione in base alla sede del produttore, il secondo paragrafo introduce una novità laddove impone che una quota minima - e tuttavia crescente negli anni - dei benefici venga riconosciuta addirittura ad impianti ubicati in altri Stati membri. Tale norma, che può farsi discendere dalla prevalenza di una sorta di responsabilità collettiva rispetto a quella dei singoli Paesi membri, si presta tuttavia a favorire comportamenti opportunistici deresponsabilizzando gli Stati meno virtuosi che potrebbero trarre da queste disposizioni il duplice vantaggio di veder realizzati nel proprio territorio impianti utili ad abbattere le emissioni senza stanziare risorse ma a valere su disponibilità finanziarie impegnate da altri Stati membri”.