QUEL CHE C’È DA SAPERE
Sulla Gazzetta Ufficiale del 29 giugno, è stato pubblicato il decreto del ministero dello Sviluppo economico 23 giugno 2016, che mette a disposizione nove miliardi di euro in venti anni per l’incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico.
Secondo Rosa Filippini, della direzione degli Amici della Terra, “pur di compiacere un codazzo di sviluppatori locali e poche imprese multinazionali che si avvalgono di una pretesa immagine “green”, il governo è disposto ad aumentare ancora la quota degli oneri di sistema, nelle bollette di famiglie e imprese. In questo senso le lobby delle rinnovabili non hanno nulla da invidiare a quelle delle fonti fossili, visto che a causa degli incentivi a loro concessi, già da tempo, l’Italia ha il prezzo dell’energia più alto di Europa, un prezzo che grava come un macigno sulle possibilità di ripresa economica e sulla competitività del sistema paese.
“La finalità formale di questi incentivi, ovvero quella di raggiungere gli obiettivi delle politiche climatico energetiche dell’UE, è stata già largamente soddisfatta e con anticipo sulla scadenza temporale del 2020. Per il resto, essi non servono affatto a rendere più sostenibile il sistema energetico del nostro paese: sono destinati a poche tipologie di fonti rinnovabili che producono solo elettricità (non intervengono quindi nel settore della produzione o della conservazione del calore, la più rilevante nel bilancio dei consumi energetici) e, in gran parte, favoriscono una produzione intermittente, non programmabile. L’impatto di molti di questi impianti, in particolare di quelli eolici, sul territorio e sul paesaggio è spesso devastante per le loro esagerate dimensioni e per la loro localizzazione nelle aree più pregiate e incontaminate del paese. Forse, proprio in attesa di questo decreto, sono tornati in pista alcuni dei progetti più osteggiati dalle popolazioni locali e dai (pochi) difensori del paesaggio italiano come quello del Monte Peglia, vicino ad Orvieto, quello di Tuscania o quello di Poggio Tre Vescovi sull’Appennino Tosco Emiliano. Non osiamo pensare a cosa potrà accadere ancora in Puglia, in Calabria, in Sicilia”.